Le limitazioni contenute nei regolamenti condominiali approvati all’unanimità, secondo la giurisprudenza consolidata, sono considerate legittime, se l’unanimità si forma in uno di questi modi:
- con votazione in assemblea, alla presenza di tutti i condomini e ovviamente col voto favorevole di tutti;
- con approvazione individuale all’atto della firma del contratto di vendita dal notaio;
- essendo il distacco un diritto sancito dalla normativa nazionale, la legislazione regionale non potrebbe legittimamente porre ulteriori limiti o divieti.
Le conseguenze del distacco sul condomino
Il condomino che si stacca dall’impianto centralizzato, non smette di pagare completamente i costi relativi alla caldaia comune che, continua a restare anche di sua proprietà ed alla quale potrebbe riallacciarsi in qualsiasi momento.
Il codice civile prevede, che il condomino che si è staccato, debba in ogni caso partecipare al pagamento delle spese per la manutenzione straordinaria dell’impianto, per la sua conservazione e messa a norma.
Inoltre dovrà pagare anche i consumi involontari, cioè delle normali dispersioni di calore, rilevate lungo la rete di distribuzione (norma Uni 10200/2013 sulla ripartizione degli esborsi), pari alla quota del 25% stimato dal consulente tecnico d’ufficio da suddividere fra tutti i condomini sulla base delle tabelle millesimali.
Dal 1° settembre 2013, lo scarico della caldaia degli impianti autonomi, deve essere necessariamente realizzato in modo da allacciarsi ad una canna fumaria che scarichi i prodotti della combustione oltre il colmo del tetto, essendo quasi sempre vietato lo scarico a parete, salvo il caso di insormontabili problemi tecnici.
Il condomino che si stacca deve pagare il progetto e la dichiarazione di conformità dell’impianto autonomo con relativa relazione da presentare al condominio, nonché il distacco delle tubazioni dell’appartamento dall’impianto centrale, con inevitabili opere murarie.
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